-3 ELEMENTI-
Gli elementi narrativi visivi che osserviamo contemporaneamente o in parte in qualsiasi immagine sono il SEGNO, mezzo e conseguenza della forma, la FORMA stessa bidimensionale o tridimensionale che sia e il COLORE anch’esso conseguenza della forma. La predominanza visiva di uno o dell’altro elemento è una conseguenza diretta di chi opera, della tecnica, e dello stile narrativo.
-IL SEGNO-
Il segno in primo luogo indica una direzione
Il suo valore può variare solo con la ripetizione dello stesso
O nel momento in cui è usato per delimitare
In questi casi il segno diventa:
A –superficie piena (sovrapposizione di segni)
B –superficie vuota (delimitazione perimetrale)
Il segno divenuto superficie indica la sua posizione rispetto all’osservatore.
La gestione del SEGNO e delle SUPERFICI determinano lo sviluppo delle FORME.
Il segno è la matrice di qualunque forma la quale porta in se, nelle sue diverse manifestazioni il medesimo senso. La forma è il rivestimento del segno nelle sue infinite possibilità di variare.
-IL COLORE-
Il colore a differenza del segno in primo luogo indica una superficie
Il suo valore non varia con la ripetizione, ma cambia solo forma.
Con la variazione del tono o del colore ha la possibilità di indicare delle direzioni.
E’ essenziale riconoscere il valore del segno e del colore per farli interagire nella descrizione delle forme. Non è possibile descrivere tutto con il segno così come non è possibile definire tutto con il colore. Per definizione disegnare e colorare sono considerati come momenti diversi di un processo lavorativo, ma pochi riconoscono lo stretto legame diviso esclusivamente dagli strumenti usati. Ricordiamoci che segno e colore interagiscono come una coppia complementare in funzione della forma, baricentro tra i due opposti. Per disegnare, siamo abituati a usare strumenti lineari come la matita, la penna, il penarello etc…tutti strumenti lineari, che permettono di tracciare linee e non superfici. Ci abituiamo a concepire tutto tramite linee. A differenza del pennello, che in primo luogo, viene usato per stendere delle campiture, delle superfici, spaesando chi lo usa non ritrovando un segno netto e regolare. Il processo è inverso, con la linea arrivo alla superficie, mentre con il colore arrivo alla linea. Bisogna abituarsi a leggere la linea di perimetro delle pennellate per ritrovare i confini delle superfici create solitamente dalla linea nera. Ricordandoci di identificare il colore come superficie e il segno come direzione.
Solo in un secondo tempo e con l’esperienza si arriva ad usare il pennello anche per tracciare delle linnee. Con l’avvento di Photoshop e della penna ottica questa differenza percettiva si sta perdendo. Si usa uno strumento rigido per eseguire pennellate morbide. La sensibilità della mano percepisce solo in parte la pressione e le inclinazioni che può svolgere sul pennello. Rimanendo subordinato alle funzioni dello strumento che definisce molti parametri preimpostati. La similitudine di molti artisti che lavorano esclusivamente in digitale è derivato in parte da questo, non esiste più un rapporto tra strumento e artista, ma è tutto preconfezionato con poca possibilità di creare la diversità. Chiunque voglia comprendere a pieno il colore non può non tornare a sperimentare le tecniche tradizionali.
Lo strumento del colore scorre sulle superfici seguendo le linee di perimetro e indica delle direzioni variando di tono o saturazione.
E’ per questo che il colore può essere il terzo elemento di una triade SEGNO-FORMA-COLORE o il primo, COLORE-FORMA-SEGNO. La variante è creata dall’artista che fa prevalere nel fumetto come nell’illustrazione o la pittura, il segno rispetto al colore e viceversa.
Il colore come il segno è indispensabile per identificare e differenziare le variabili visive.
-CENNI STORICI-
In origine il fumetto era in B&N anche se i primi colori s’intravedono con il camicione di Yellow kid, il fumetto in generale era stampato in B&N. Solo intorno agli anni ’20 si iniziò a stampare regolarmente fumetti a colori. In questo periodo il colore era un elemento decorativo, che non aggiungeva o toglieva particolare significato narrativo al fumetto.
Un’altra decisiva svolta avvenne intorno agli anni ’70, grazie alla possibilità espressiva ricercata da autori come Moebius, Bilal, Druillet, Corben etc… il colore ha avuto uno sviluppo sostanziale, da decorativo passò ad essere espressivo creando atmosfere ed effetti speciali finora insoliti.
Il colore non è più una semplice stesura piatta con funzione di far apparire il prodotto “colorato”, ma interagisce con la narrazione portando nuovi valori comunicativi. Si inizia ad introdurre l’atmosfera, il variare della luce, non più semplicemente giorno notte, creato dal bianco e nero, ma situazioni precise dettate dalla luce colorata oltre che dal colore per evidenziare lo stato emotivo del personaggio o della sequenza. Introducendo nuove forme espressive sostituendo il nero della china con la leggerezza della sfumatura. Con l’evoluzione delle tecniche di stampa, e la nascita del programma Photoshop, alla fine degli anni ’80, colorare assume una nuova veste. Inizialmente sostituisce il vecchio sistema per la colorazione a tinte piatte eseguite fino ad allora sul retro della tavola o su una copia in cyan o grigio. In seguito per essere usato come una nuova e propria tecnica di colorazione. Oggigiorno troviamo una concentrazione di fumetti colorati a Photoshop o Painter, con una grande libertà espressiva riguardo all’uso del segno nero di china che arrivare ad essere sostituito dalla matita, per valorizzare la morbidezza del segno. Cercando di simulare tutte le tecniche pittoriche e illustrative tradizionali. Oggi le due scuole di pensiero che possiamo trovare sono due, quella della colorazione digitale, a tinte piatte come si usava una volta o pittorica illustrativa, e la colorazione definita couleur direct, colorazione diretta sull’originale con tecniche tradizionali.
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venerdì 18 marzo 2011
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